RUBRICA “DIRITTO AL CIBO”. L’ITALIA IN UN MARE DI TRIVELLE

RUBRICA "DIRITTO AL CIBO". L'ITALIA IN UN MARE DI TRIVELLE

Prepariamoci a dare l’addio ai nostri mari incontaminati. Il decreto ‘Sblocca Italia’ inizia a far sentire i suoi effetti, dando il via libera alle trivellazioni off-shore.

Tutto il mondo invidia le nostre coste e i nostri mari, eppure ci sono minacce che insidiano la loro bellezza e salubrità. Per questo, proprio quando gli italiani si preparano a partire per le tanto agognate vacanze, vogliamo affrontare un tema caldo come quello delle trivellazioni, appoggiando la raccolta firme promossa da greenpeace, in concomitanza con i primi devastanti effetti del decreto Sblocca Italia.

I motivi per dire No alle trivellazioni sono molteplici e forse risaputi, ma vale la pena ribadirli:

1) Inquinamento del “polmone blu” del pianeta: non tutti sanno che se il 50% dell’ossigeno è prodotto dalle foreste, il restante 50% è invece prodotto da migliaia di microrganismi presenti nelle acque superficiali (plancton) dei nostri mari. Inoltre gli sversamenti di sostanze nocive non avvengono solo in caso di incidenti (come nel noto caso del disastro ambientale verificatosi con la piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico nell’aprile 2010), ma quotidianamente a causa di cedimenti strutturali e usura degli impianti. Tali sversamenti, potenzialmente assorbibili per le acque oceaniche, nei nostri mari (chiusi) nel lungo periodo si traducono in un disastro ecologico. Questo comporta la morte dei microrganismi e di conseguenza la produzione di ossigeno. Inoltre, con la tecnica dell’airgun, usata per l’ispezione dei fondali marini e la rilevazione della composizione del sottosuolo , vengono generate onde compressionali, che innescano l’esplosione e la rapida diramazione di una bolla d’aria sott’acqua; il rumore prodotto provoca danni permanenti, se non letali, sopratutto agli organi uditivi dei cetacei, che comunicando e orientandosi attraverso l’uso degli ultrasuoni, finiscono per spiaggiarsi.

2) Inquinamento dell’aria: le trivellazioni, sia in mare che sulla terraferma, sono inquinanti anche per l’atmosfera, poichè emettono sostanze nocive e dannose (alcune di esse provatamente cancerogene) per le persone, per gli animali e per l’agricoltura. Queste nanopolveri che respireremo quotidianamente provocano gravi danni all’organismo e malformazioni dei feti. La loro dispersione nell’aria causa piogge acide, con effetti nefasti sul raccolto e sul bestiame.

3) Dissesto idrogeologico: le ispezioni, le trivellazioni e la re-iniezione sotterranea di materiale di scarto e acque reflue ad alta pressione possono intaccare gli equilibri geologici e indurre terremoti (sismicità indotta). Evidenze scientifiche contenute in un articolo pubblicato recentemente su Scientific American dimostrano  che “i terremoti possono essere causati da attività di trivellazione e fracking“. Negli USA, proprio in conseguenza del fracking, diversi sciami sismici si sono verificati in Arkansas, Ohio, Oklahoma, Texas. Vale la pena, per un Paese altamente sismico come l’Italia, correre questo rischio?

4) Speculazione economica: è risaputo che il petrolio in Italia è poco e di bassa qualità, e necessita di essere depurato dalle impurità nei pressi dei punti estrattivi. Il nostro petrolio agevola solo gli interessi delle grandi aziende petrolifere, non crea posti di lavoro, nè ricchezza, ma costi aggiuntivi per lo smaltimento dei rifiuti tossici. Lo dimostra la Basilicata: sorgenti e laghi di acqua potabile inquinati da idrocarburi, smaltimento illegale di rifiuti tossici nei campi agricoli, cibi contaminati (vedi il caso del miele), declino dell’agricoltura, aumento di malattie, mancanza di lavoro. Nonostante vogliano farci credere il contrario, la Basilicata, che fornisce il 7% del fabbisogno nazionale di petrolio, resta la regione più povera d’Italia.

5) Cibi contaminati: ma la conseguenza più impellente è quella che riguarda il cibo avvelenato che arriverebbe sulle nostre tavole. Le trivellazioni, alterano il nostro ecosistema e contaminano la catena alimentare. Se il petrolio finisce nei nostri mari, il pescato che arriva sui banchi alimentarisarà tossico; se il petrolio contamina le falde acquifere, le nostre terre e i pascoli saranno avvelenati. Che fine farà la dieta mediterranea, e i prodotti di eccellenza che tutto il mondo ci invidia e sui quali si regge la nostra economia?

Nonostante le motivazioni sopraelencate siano risapute, c’è chi continua ad ignorarle. Infatti, nelle utime settimane il Ministero dell’Ambiente ha emanato ben 11 decreti per altrettanti progetti di prospezione di idrocarburi in mare Adriatico, Ionio, Canale di Sicilia e Sardegna, che prevedono l’utilizzo della tecnica dell’airgun e il posizionamento di impianti di trivellazione, non più a 12, ma a 5 miglia dalla costa, coprendo un’area di oltre tre milioni di ettari di mare. Il via libera agli 11 progetti è una diretta conseguenza dell’approvazione del decreto Sblocca Italia 133/2014, che all’art.38, nelle Misure urgenti in materia di energia, dispone che: “Al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”.

E’ difficile non cogliere la contradditorietà tra quanto deciso da questo decreto e gli impegni presi dal governo nel contesto internazionale sul clima. Il 22 giugno scorso, infatti, si sono conclusi a Roma gli Stati Generali sui cambiamenti climatici e la difesa del territorio in Italia, che precedono la Conferenza di Parigi 2015 sul clima, fissata per fine anno. L’assemblea si è impegnata a sostenere come prioritaria la bioeconomia, “intesa come rigenerazione territoriale”.

Nonostante sia risaputo che l’Italia non abbia sufficienti riserve fossili per soddifare il fabbisogno energetico, ma che sia invece ricca di fonti di energia rinnovabili, lo ‘Sblocca Italia’ di fatto continua a favorire gli interessi delle multinazionali del petrolio piuttosto che puntare alla crescita sostenibile, attraverso un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, e tramite investimenti mirati alle fonti di energia alternativa, nel rispetto dell’impegno preso dal nostro Paese di adempiere agli obiettivi strategici 2020 dell’Unione Europea.

Inoltre, dalle ricerche scientifiche e dai dati a nostra disposizione, questa folle rincorsa all’oro nero, che rende l’italia ‘il nuovo Texas’, è un suicidio economico e ambientale. L’Italia, grazie alle fonti rinnovabili – mare, sole, vento – che sono inesauribili, pulite e sicure, garantisce oltre il 37% dei consumi elettrici, e potrebbe soddisfare al 100% il proprio fabbisogno energetico eliminando completamente la dipendenza dall’uso di combustibili fossili. E allora … cosa stiamo aspettando?

Per poter invertire la rotta, perchè “una Terra pulita è possibile”firma la petizione TrivAdvisor di Greenpeace 

Francesca Gioia e Marina Marra