“RUBRICA DIRITTO AL CIBO”. QUANDO LA PRODUZIONE DI CIBO CONDANNA L’AMBIENTE: IL CASO DELL’OLIO DI PALMA

"RUBRICA DIRITTO AL CIBO". QUANDO LA PRODUZIONE DI CIBO CONDANNA L'AMBIENTE: IL CASO DELL'OLIO DI PALMA

Gli incendi continuano a devastare le foreste indonesiane. Dalle scelte alimentari in Occidente all’altra parte del pianeta, il filo rosso è la nostra responsabilità.

Negli ultimi mesi l’attenzione di molti consumatori e di associazioni a tutela di questi ultimi e dell’ambiente si è focalizzata sulla pericolosità di un ingrediente di cui, fino a qualche tempo fa, molti ignoravano l’esistenza: l’olio di palma. La ragione per cui quest’olio, il più usato al mondo nella produzione di merendine e cibi confezionati – oltre che nella lavorazione di prodotti cosmetici e farmaceutici e perfino mangimi -, abbia attirato solo negli ultimi tempi l’attenzione dell’opinione pubblica fino a diventare un vero e proprio caso, deriva dall’obbligo, relativamente recente (una disposizione europea entrata in vigore dal dicembre del 2013), di segnalarne esplicitamente la presenza sulle etichette dei prodotti alimentari, non limitandosi più alla dicitura ‘grassi vegetali’.

In realtà, in Europa, il vincolo di indicare con precisione tutti gli ingredienti adoperati nella lavorazione e nella produzione degli alimenti è di molto anteriore, ma il ritardo nell’applicare la norma all’olio di palma deriva dal suo non essere classificato come ‘allergene’ (come l’olio di soia), fattore che ha concesso di fatto, e favorito, questa ambiguità. 

Ma cos’è, esattamente, l’olio di palma e perché in molti ne sostengono la dannosità?

Per quanti non lo sapessero, l’olio di palma è un grasso vegetale estratto da una palma che cresce spontaneamente in una fascia ristretta del pianeta, situata a nord e sud dell’Equatore. I maggiori produttori sono Indonesia e Malesia, paesi per cui quest’olio rappresenta la principale fonte di sostentamento e che garantiscono l’86% della produzione e dell’approvvigionamento totali.

olio di palma

Fin qui tutto normale, 

senonchè il CSPI (Center of Science in the Public Interest), in un rapporto sull’olio di palma, ne ha denunciato i fattori di rischio cardiovascolare: in effetti, da molti anni ormai è stato accertato che gli acidi grassi saturi composti da 12, 14 e 16 atomi di carbonio, presenti in alte percentuali nell’olio di palma, siano in grado di alzare il livello di colesterolo e di aumentare i rischi di coronaropatia.

Si potrebbe obiettare che anche il burro e la margarina siano dannosi per la salute, e questo è senz’altro vero, dal momento che, in generale, i grassi devono entrare in una dieta sana solo in quantità controllatre. Tuttavia, il caso della margarina merita un accenno particolare, poichè oltre a contenere olio di palma anch’essa, deriva da un’emulsione (vale a dire una mescolanza forzata) di olio e acqua, due componenti liquide, e viene sottoposta a numerose lavorazioni chimiche (idrogenazione) volte ad ottenerne la solidificazione. In più, dal momento che il punto di fusione della margarina si aggira intorno ai 38-39°, il nostro corpo, la cui temperatura si attesta intorno ai 36,5°, incontra serie difficoltà nel metabolizzarla. Diversamente per il burro, il cui punto di fusione si aggira intorno ai 28 e i 33 gradi centigradi, al di sotto della normale temperatura corporea.

Il caso dell’olio di palma ha un ulteriore aggravante che risiede proprio nel suo uso o forse, per meglio dire, ‘abuso’: è stato infatti rilevato che in Italia solo 100 tipi di biscotti, 30 merendine e 40 snack salati possono rientrare nella categoria “palma free“, il che rende se non impossibile, quantomeno difficile evitarlo. Del resto, Barilla e Ferrero sono due tra le multinazionali che ne fanno maggior uso nelle loro produzioni 

nutella olio di palma

(fa sicuramente un certo effetto notare che l’ingrediente principale della Nutella, dopo lo zucchero, sia proprio l’olio di palma, con oltre il  31% del totale).

Questa ‘onnipresenza’ incide pericolosamente sull’accortezza da applicare nell’assunzione dei grassi: acquistando diffusamente molti dei prodotti in pubblicità, infatti, si rischia di assumere olio di palma quotidianamente, e più volte al giorno. Per questo, il fattore di rischio legato alla salute è innegabile. 

Se già questo parrebbe sufficiente a delineare la questione, ad aggravare il quadro si aggiunge la totale insostenibilità di questo olio. La forte resa della palma ( produce molto più della soia o del girasole, che per la stessa quantità richiederebbero piantagioni più estese), e il suo basso costo, elemento senz’altro non trascurabile nella produzione, hanno attirato gli interessi delle grandi aziende che producono cibo, le quali hanno tentato di accaparrarsi la materia prima, più vantaggiosa del burro o di altri grassi ad uso alimentare. Basti pensare che per il 2014 l’Unione Europea ha richiesto importazioni di olio di palma per un ammontare di 1,7 miliardi di chili, il 19% in più degli anni precedenti, attirando innumerevoli accuse da confederazioni come Coldiretti, che ha lanciato l’allarme denunciando l’irresponsabilità e l’insensatezza dell’impiego di un olio di dubbia qualità e nocivo per l’ambiente, vista la disponibilità e la fama, sopratutto in Italia, dell’olio extravergine di oliva, protagonista della dieta mediterranea.

Il vertiginoso aumento della domanda di olio di palma ha reso perciò insufficiente la sola resa naturale, inducendo quella che è la dinamica più preoccupante della questione, ovvero l’impatto ambientale.  Per guadagnare terreno utile alle coltivazioni, difatti, sono stati drenati, disboscati ed incendiati ettari ed ettari di foreste torbiere in Indonesia, alterando irreversibilmente interi ecosistemi. Le conseguenze devastanti di questo fenomeno, purtroppo ancora in corso, sono innumerevoli e gravissime e rappresentano, come qualcuno a ragione ha sostenuto, un autentico scandalo. Innanzitutto, il drenaggio della torba che arricchisce il sottobosco delle foreste pluviali neutralizza la capacità di trattenere il carbonio, stimolando un forte aumento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera . In secondo luogo, molte delle specie vegetali che prima crescevano nelle foreste torbiere sono andate perdute, e la fauna del posto (pensiamo alla tigre di Sumatra o all’orang-utan), privata del suo habitat, rischia di estinguersi. 

Le considerazioni immediate che emergono dal caso dell’olio di palma sono essenzialmente due: la prima, su cui non ci si sofferma abbastanza, è la scarsa conoscenza che abbiamo di quel che mangiamo, e il fatto che la stragrande maggioranaza dei consumatori presti  spesso troppa poca attenzione nella lettura delle etichette, all’interno di un bieco legame di fiducia con i marchi pubblicizzati dai media; la seconda, intimamente connessa alla prima, è da individuarsi nel fatto che ogni scelta alimentare, che erroneamente si crede finisca con lambire la sola quotidianità del consumatore, è invece parte di un quadro molto più complesso, che termina esattamente dall’altra parte del pianeta, nel disintegrarsi della biodiversità di una porzione caratteristica della Terra, uno dei suoi ‘polmoni verdi’. 

olio palma
deforestazione olio di palma

Va detto che negli ultimi anni, attraverso la diffusione delle più variegate tendenze in fatto di alimentazione, l’attenzione nei confronti del cibo è cresciuta esponenzialmente. Si sono diffusi atteggiamenti alimentari che privilegiano scelte più sane, biologiche, addirittura crudiste. Tuttavia, dal momento che molti dei luoghi comuni sul cibo sono caduti, districarsi in mezzo alle nuove acquisizioni diventa sempre più complicato. Si è diffusa di risposta, ad ampio spettro, una tacita rassegnazione, una sorta di malsana convinzione per cui ‘se tutto fa male’, se non c’è modo di sapere esattamente cosa mangiamo, tanto vale non fare distinzioni, accettare passivamente questo stato di cose. In realtà, una visione e un atteggiamento sistemici sono non solo possibili, ma doverosi: quello che scegliamo di mangiare ci identifica, ci condiziona; è una manifestazione autentica della nostra responsabilità nei confronti di noi stessi, di quanti verranno dopo di noi, del pianeta stessoScegliere con cura cosa mangiare permette di cambiare il corso degli eventi e incidere su grandi interessi solo apparentemente intoccabili. è un atto di rilevanza sociale, è partecipazione.

Le ultime notizie (reperibili sul sito greenme.it) sulla vicenda dell’olio di palma riferiscono di una situazione allarmante: in Indonesia, Malesia e Singapore, una pesante coltre di smog ricopre vaste aree a causa della combustione delle foreste.  A quanti hanno deciso di restare nel proprio paese, il governo ha intimato di rimanere il più possibile all’interno delle abitazioni per non esporsi all’aria tossica, e oltre duemila sono state chiuse. Il fatto che in Indonesia siano avvenuti i primi arresti a danno dei “dei dirigenti accusati di essere i mandanti degli incendi“, lascia senz’altro sperare, ma non basta.

foreste indonesia
deforestazione palm oil

Quello dell’olio di palma è oggi un vero e proprio caso: lo è per quanti tentino quotidianamente di divulgare uno stile di vita e un regime alimentare consapevole oltre che sano, ma anche per tutti coloro che credono che l’attenzione alla salute non si possa promuovere se non a partire dalla tutela dell’ambiente.

Di fronte al dilagare della polemica, molte grandi aziende sono corse al riparo, alcune di esse dichiarando di essere attente alla questione ambientale, pur essendosi impegnate nella fornitura di olio di palma per ancora molti anni a venire. alcune hanno dichiarato di aver aderito ad un’organizzazione agricola, la RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil), nata nel 2004 con l’obiettivo di promuovere il solo uso di palme coltivate in modo sostenibile. Sebbene questo aspetto ponga apparentemente una differenza tra le aziende che hanno fatto una scelta sostenibile e altre che hanno invece incentivato la barbarie in Indonesia, rimane il fatto che la situazione attuale rappresenti un’emergenza, e sia il risultato di anni di sfruttamento a cui tutti, consapevolmente o meno, abbiamo preso parte.

E’ ora di fermare questo scempio: DICIAMO NO ALL’OLIO DI PALMA!

Francesca Gioia e Marina Marra