
“C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino, e consiste nel togliergli la voglia di votare” (Robert Sabatier)
Domenica 17 aprile si voterà per il referendum abrogativo sulle trivellazioni. Vi avevamo già parlato dell’argomento, e di come le trivellazioni stessero devastando il nostro Paese: il decreto “Sblocca Italia“, promosso dall’attuale governo, aveva infatti autorizzato 11 nuovi progetti di prospezione di idrocarburi, che riguardavano il posizionamento di piattaforme e il processo di trivellazione al largo delle nostre coste. Il testo della legge (oltre a fissare l’avvicinamento delle piattaforme da 12 a 5 miglia) faceva il punto sull’urgenza e l’indifferibilità delle attività di estrazione del petrolio e del gas naturale per il fabbisogno energetico nazionale. Nei mesi successivi, cinque delle sei richieste -provenineti dalle Regioni promotrici del referendum – sono state accolte, mediante modifica dell’ultima Legge di Stabilità (la distanza di posizionamento è rimasta per esempio intorno alle 12 miglia, circa 20 km da terra), perciò il quesito referendario a cui saremo chiamati a rispondere chiederà di decidere se, una volta scadute le concessioni in corso ( e quindi non una volta esaurito il giacimento), le attività di trivellazione in mare aperto potranno o meno essere prolungate.
nel dettaglio il quesito sarà:
Volete voi che sia abrogato l’art.6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
La questione è di vitale importanza, e lo è per diversi fattori. Per dirne due, prima di tutto perchè il problema energetico riguarda tutti, dal momento che investe tutte le sfere del vivere comune, dal lavoro alla tutela ambientale e della salute. Quella che stiamo vivendo è una vera e propria guerra per l’energia, per il dominio sulle risorse. Secondariamente, perchè lo scarso spazio dedicato al tema e il fatto che si sia deciso di anticipare le consultazioni a metà aprile, senza accorparle alle amministrative riducendo di molto il tempo della campagna elettorale, è degno di nota e deve insospettire la coscienza collettiva.
Perciò proviamo a fare un pò di chiarezza, e a dilungare qualche dubbio instillato dall’informazione non sempre apprezzabile degli ultimi giorni. Le piattaforme off-shore attualmente in funzione sono 88, ma i dati forniti da Greenpeace denunciano che di queste 88, 35 non sono in funzione ( e restano in mare a fare ruggine), mentre 29 di quelle eroganti producono talmente poco da mantenersi sotto la franchigia (sotto cioè la soglia minima di produzione), condizione che esenta i “petrolieri” dal pagamento delle royalties. Quindi, la maggior parte delle piattaforme in azione o non eroga, oppure eroga senza pagare, consegnando il nostro mare ai “petrolieri”.
In secondo luogo, il petrolio estraibile in Italia è esiguo e di scarsa qualità. Come ha precisato in una nota il FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano, il petrolio estratto basterebbe a coprire appena il fabbisogno di dieci settimane dei nostri consumi ( dato confermato dalle stime Mae). Sopratutto, le piattaforme inquinano. E non parliamo soltanto del rischio di grossi sversamenti di petrolio in mare in caso di incidenti, ma delle piccole quantità di petrolio che vengono spesso disperse durante le attività di estrazione (un rapporto del Parlamento Europeo ha dichiarato 9.000 di questi episodi nel periodo tra il 1994 e il 2000 nel Mediterraneo).
Nel caso specifico, la Sardegna, ad esempio, è tra le regioni prese letteralmente d’assedio ( quindici richieste di permessi tra concessi e in attesa di pronuncia): la superficie interessata dalle trivellazioni è pari quasi all’intera isola. Come riporta il Sardiniapost (www.sardiniapost.it), “la società norvegese Ngs Topec ha chiesto al Ministero dell’Ambiente di utilizzare la tecnica dell’airgun per rilevare la presenza di giacimenti di gas e petrolio sottomarini su 20.000 mq di fondali del mar di Sardegna”. La stessa società aveva nel 2001 bombardato il mare di Sardegna, con l’intenzione di trasmettere i dati delle rilevazioni alle società preposte all’estrazione. L’airgun, per chi non lo sapesse, ha la finalità di esplorare i fondali attraverso bombe d’aria compressa sparate nei fondali marini. E’ responsabile di danni e alterazioni comportamentali di molte specie marine, i cetacei in particolare, per non parlare dei danni irrimediabili alla pesca. Il divieto di airgun era contenuto anche nel ddl sugli ecoreati, salvo poi venire cancellato nella discussione alla Camera, che ha di fatto concesso ulteriore potere alle compagnie petrolifere.
Il quesito referendario non coinvolge, è bene precisarlo, né le nuove trivellazioni, né quelle su terraferma, ma solo quelle in corso in mare. Eppure, la questione della Val d’Agri, in Basilicata, venuta alla luce in questi giorni, benché riguardi le attività su terraferma, sembra essere chiarificatrice. Le intercettazioni pubblicate, che coinvolgono, come tutti ormai sappiamo, l’ex mistro per lo sviluppo economico Guidi e il suo compagno, l’imprenditore Gianluca Gemelli (titolare di ben due società petrolifere), hanno svelato l’intenzione della Guidi di reimmettere nella legge di stabilità un emendamento (prima rimosso) che avrebbe di fatto favorito le lobby del petrolio (la Total, ad esempio) e conseguentemente le attività del compagno, già indagato per traffico di influenze su uno dei giacimenti petroliferi più importanti della Basilicata, quello di Tempa Rossa, situato nel cuore della regione ed esteso sul territorio del comune di Guardia Perticara. Su questo giacimento vigilano gli interessi di Total, Eni e Shell tra Basilicata e Puglia, e la procura di Potenza sta indagando per il reato di disastro ambientale.
Da cittadina lucana, nonostante non si voterà per questo, sento di dover dire qualche parola.
La Basilicata è da sempre tra le regioni più povere d’Italia. Questa condizione di miseria, che sembra non essersi smossa e anzi essersi riciclata dalla questione meridionale di fine 800, viene a scontrarsi con un sottosuolo naturalmente ricco di petrolio, che ha attirato gli interessi di grandi multinazionali, le quali hanno messo piede nella regione con il benestare degli enti territoriali, promettendo nuovi posti di lavoro e ricchezza. La Basilicata è oggi una bella porzione di natura nella quale sgorga petrolio: qui si estraggono il 70,6 per cento del petrolio e il 14 per cento del gas italiani. E dagli ultimi dati disponibili risulta che a Viggiano, dove è presente il più grande Centro Oli d’Europa con 20 dei 27 pozzi presenti nella regione, arrivano ogni anno 11 milioni di euro solo da una delle più note multinazionali dell’oro nero.
Il sostrato identitario della regione riposa, storicamente, sulla natura, più in particolare sulla terra, sui monti che isolano, proteggono. La Basilicata vive nella sua storia questo dissidio profondo tra la voglia di uscire dalla marginalizzazione e il fascino, a ben vedere un beneficio, di essere conosciuta da pochi. Il petrolio ha generato un cambiamento radicale, e ha rappresentato nell’immaginario di molti un riscatto contro la povertà, contro un sistema che spinge i giovani ad emigrare e a spopolare la regione.
Ma quale beneficio è venuto dal petrolio per i lucani?
Nella sostanza nessuno. Uno sporadico bonus per il rifornimento carburanti, sempre appeso ad un filo e accolto troppo spesso come una chimera, perchè contrariamente a quanto si potrebbe immaginare la benzina non costa meno che in altre regioni, anzi. Nel 2013 si è registrato un aumento indiscriminato del costo per litro, superiore alla media dell’aumento nazionale. Come se non bastasse, la contaminazione di falde acquifere (molti dei pozzi incidono sui bacini idrici che servono per uso irriguo e potabile) e dei terreni ( causata dagli sversamenti dei barili), le attività agricole devastate dall’inquinamento proveniente dalle acque reflue, un’alta concentrazione oggettivamente sospetta di linfomi e tassi di incidenza di malattie cardio-respiratorie del 2,5% superiori alle medie regionali, dipingono un quadro tutt’altro che fausto, in relazione al petrolio.
Nonostante la quantità considerevole di greggio estraibile, la Basilicata rimane povera.
E allora si apprende amaramente come quella cornice naturale si sia sfaldata, e lo si legge nelle parole dei contadini, e di tutti coloro che a vario titolo sono coinvolti nell’affare petrolio, da questa parte, dal versante del sopruso, dell’inganno, della sopraffazione. A parlare dovrebbe essere la miseria latente, i campi inquinati, la sorgente dell’Acqua dell’abete del comune di Celvello, sottoposta a sequestro dal 2008. Qui, ad innescare l’allarme erano state le iridescenze denunciate da alcuni passanti, che si sono in seguito rivelate tracce di idrocarburi. La connivenza degli enti locali con il flusso di denaro che arriva nella regione annualmente è lo specchio di questo finto progresso.
Perchè la questione lucana dovrebbe essere chiarifichiatrice della faccenda del petrolio?
Perché anche lì, dove dl petrolio ce n’è, nessun vantaggio ne è derivato. Si capisce che il sistema petrolio non funziona, non porta ad un incremento occupazionale, né a benefici sul territorio. Perché, dunque, dovremmo dire SI’ al referendum sulle trivelle? Perchè sì, vogliamo che la smettano. Vogliamo che si lavori per un’altra economia, rispettosa delle persone, delle risorse, dell’ambiente. Perché un’altra economia, persino un’altra mentalità e possibile. Perché di questo passo le nostre ricchezze verranno depauperate dalla follia del profitto. Perché i nostri mari sono la nostra ricchezza, e dovremmo smettere di inquinarli. Perchè le fonti di energia rinnovabile sono quelle su cui dovremmo investire. Perché già l’aria che respiriamo è inquinata, il cibo che mangiamo contaminato. Perchè si stanno raggiungendo livelli record nella diffusione di malattie e a poco vale, a questo punto, che la vita media si sia allungata.
Votiamo SI’ questa domenica, difendiamo i nostri mari, la nostra terra. Per godere di un mare pulito, incontaminato. Votiamo SI’ perchè SI’, vogliamo un mare senza trivelle.
“Non si può essere infelice quando si ha questo: l’odore del mare, la sabbia sotto le dita, l’aria, il vento” (Irène Némirovsky)
Francesca Gioia