AI PAPAVERI ROSSI

AI PAPAVERI ROSSI

“Non ti sembra che questo treno vada più lento oggi?”

“Si, in effetti stavo per dirti la stessa cosa. Ma hai visto che belli sono quei papaveri?”

“E’ vero… Non li avevo mai notati prima”.

“Forse non è un male che il treno oggi vada piano …”.

Non sono solita origliare le conversazioni. Ma sento involontariamente queste due donne sedute di fronte a me, su un treno particolarmente lento. Sono madre e figlia, lo capisco da qualche battuta che si scambiano poco dopo, spontaneamente, di fretta in una confidenza inconfondibile. Un dialogo veloce, netto, sul pranzo da preparare una volta arrivate a casa. “Ci sono gli avanzi della pasta al forno di ieri, che dici?” No, voglio tenermi leggera per la palestra …” ” Va bene, allora la pasta per tuo fratello, per te ora passiamo a comprare qualcosa …”.

Sento questa conversazione e il posto accanto a me è vuoto. Mia madre non c’è, oggi non mi preparerà il pranzo, ma di sicuro, almeno tre volte nell’arco delle giornata, mi chiederà se ho mangiato.

Le mamme e l’ossessione per il cibo. Forse si potrebbe partire da qui. Elsa Morante qualche anno fa dichiarò che la frase d’amore più vera, l’unica, fosse: “Hai mangiato?”, perché quando ami davvero qualcuno la tua principale preoccupazione è che abbia provveduto ai bisogni primari. E’ vero probabilmente, se si pensa che sia forse la domanda più ricorrente delle madri di ogni parte del mondo. 

In occasione della Festa della Mamma, quello della maternità diventa un tema quasi logoro, al punto che sembra rimanga davvero poco da dire. Eppure, si potrebbe dire che in questo grande mistero dell’umanità, l’essere madre venga a spiegarci che il femminile custodisce il segreto della vita, quell’inarrivabile darsi nell’atto pieno di espulsione, in quel grido che è pianto, dolore e gioia ad un tempo. L’essere madre si trova in quel declinarsi di parole semplici, nella dolcezza che dopo la madre nessuno avrà allo stesso modo con quel piccolo umano. Del resto, si è piccoli sempre e solo per la propria madre. 

L’unicità di questa donna che per sua natura riceve e accetta nel suo corpo, in quella cavità calda e morbida, accogliente, si svela nell’esercizio esclusivo del dare la vita. Colei che deve per natura prendere, può dare in maniera irripetibile. Ci sono molti modi di essere madre: si è madri per scelta, madri a fatica, madri per caso. Spesso non si è madri finché non lo si è per davvero.

Ci sono molti modi di essere madre, ma c’è sempre un solo modo di essere ‘mamma’. Ogni figlio ne descrive uno diverso. Non è un caso che la lingua denoti con due parole diverse i due significati della maternità: madre è l’impersonale, la caratteristica generica “sfornita dell’intimità”mamma è l’appellativo caricato dell’affetto, del rapporto, della dualità. Perciò, vi sono tanti modi di essere ‘mamma’ quanti sono i figli. Per ciascuno, mamma è una cosa diversa.

Madre, invece, trascura in sé molte cose: tralascia le mamme che non hanno generato, ma che spesso sono più madri di molte altre ‘conformi’ alla natura. Madre non dice nulla del dolore della separazione, del momento del saluto prima della partenza, quando un figlio o una figlia desiderano andare e la madre combatte con la sciocca voglia di trattenere quel prolungamento si sé, di non regalarlo al mondo.

Mamma è una cosa diversa: contiene l’intimo di una relazione speciale, spesso cercata e voluta oltre ogni limite. Mamma è la parola che in assoluto sa dire del sacrificio, dell’abnegazione. Mamma è anche molto spesso il luogo del conflitto e dell’abbandono, ma sempre in qualche modo recalcitrante all’odio, al risentimento.

Perciò, direi che la seconda domenica di maggio non è solo la festa delle mamme. E’ la festa dei figli, è la festa della cura come esercizio che non si insegna, ma che si porta avanti per ragioni che non saremo mai capaci di indagare razionalmente. La festa delle mamme deve farci pensare a quante volte non vediamo i papaveri rossi oltre il finestrino del treno: alle madri che preparano il pranzo e si prendono i malumori dei figli che hanno avuto una brutta giornata, a quelle che si ritagliano qualche minuto nella vecchia cameretta dei figli ormai adulti, per ricordare quando, bambini e poi ragazzi, erano in casa, e ripensano con malinconia alla confusione, agli strilli, alla tavola apparecchiata per colazione. Alle donne, le mamme che hanno adottato, compiendo il grande atto di amore e di accettazione dell’avversità, superando una natura a volte avara. Alle madri angosciate dalla malattia dei propri figli, devastate dentro, eppure ancora in piedi, ferree. Alle madri che invece, per la notizia di un figlio o una figlia in salute e di un pericolo scampato rinunciano alle loro abitudini e ancora a un po’ di loro stesse, perché sentono di dover ringraziare, di essere in debito.

Buona festa della mamma ai figli e alle figlie che non hanno una madre a cui fare gli auguri, che anche volendo non possono far sì che il treno, in questa seconda domenica di maggio, vada un po’ più piano. Ai figli e le figlie che darebbero tutto ciò che hanno per risentire quella voce.

Ai figli che gelosamente credono che la loro madre sia la migliore di tutte, perché non c’è mai cosa più vera.

Auguri alle mamme che sempre rimangono lì, silenziose, mentre il treno corre veloce.

Ma che sia la festa in cui il treno va piano, invece. La giornata in cui, finalmente, notiamo i papaveri.

Buona festa a tutte le mamme, buona festa sopratutto alla mia.

Francesca Gioia