
Il più giovane Paese al mondo. Nel 2011, dopo l’indipendenza raggiunta con la secessione dal Sudan e grazie alle ingenti risorse petrolifere in grado di sostenere la sua giovane economia, l’ottimismo del Sud Sudan era alto.
Vita breve all’ottimismo perché di lì a poco emergeranno forti tensioni tra i due principali leader del paese: il presidente Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar. Tutto il resto attiene alla più triste e violenta cronaca di guerra : devastazione e carestie.
Non si fa in fretta a dire “carestia”, non è una di quelle parole volte ad intensificare la drammaticità della situazione di un Paese in conflitto, la “carestia” può essere dichiarata solo in condizioni molto specifiche: “quando in una zona almeno il 20 per cento delle famiglie ha livelli estremi di carenza di cibo e limitata capacità di risposta; quando i tassi di malnutrizione acuta superano il 30 per cento; e quando il tasso giornaliero di mortalità della popolazione supera i due adulti su diecimila”.
La prima stretta esigenza, oltre l’immediato stop al conflitto, attiene dunque all’emergenza alimentare per frenare la rovinosa avanzata della carestia che sta mettendo in ginocchio 6 milioni di persone. E’ in questo ambito che il VIDES ha elaborato un piano di intervento a lungo termine attraverso il progetto “Women empowerment e sviluppo agricolo sostenibile per il raggiungimento della sicurezza alimentare in Sud Sudan”, finalizzato a “rafforzare la sicurezza alimentare e migliorare la qualità della vita della popolazione rurale della contea di Juba, promuovendo il sostegno alle donne tramite l’equo accesso alle risorse.
Donne in formazione agricola nel distretto di Juba
In particolare il progetto è volto ad aumentare e diversificare la produzione agricola – dipendente dalle piogge e caratterizzata da notevoli mancanze in termini di imput, strutture e conoscenze – introdurre pratiche di allevamento sostenibile ed incrementare, attraverso la formazione, la produzione e commercializzazione dei prodotti agricoli di 150 donne che vivono nel distretto di Gumbo”.
Un progetto che oltre a far fronte l’attualissima emergenza vuole porre le basi per uno sviluppo locale, la sola arma per far si che la popolazione non sia costretta a migrare in cerca di salvezza e cibo.