
Nessuno è nato schiavo, né signore,
né per vivere in miseria,
ma tutti siamo nati per essere fratelli
(Nelson Mandela)
Negli ultimi quindici anni l’Italia ha visto crescere in misura sempre maggiore il fenomeno migratorio via mare: dalle coste della Libia, della Tunisia, dell’Egitto. Nel 2011, in concomitanza con i mutamenti politici nei Paesi del Nord Africa (Primavera araba) e con l’intensificarsi del conflitto in Siria, il fenomeno si è ulterirmente intensificato fino al picco del 2014, anno in cui si è registrato l’arrivo di oltre 170.000 persone via mare, di cui più di 42.000 cittadini siriani in fuga dalla guerra. Il numero di rifugiati siriani si è sensibilmente ridotto nel 2015 con l’apertura della rotta balcanica ma, nello stesso anno e in quello successivo, il 2016, si è resgistrato un significativo numero di arrivi di migranti e richiedenti protezione internazionale originari principalmente del Corno d’Africa e dell’Africa Occidentale.
Dall’inizio del 2017 ad oggi è stato invece rilevato un aumento di questi ultimi con una sensibile diminuzione dei primi. La rotta del Mediterraneo centrale resta quindi un importante percorso per i richiedenti asilo, ma si attesta anche quale importante rotta per quanti non siano necessariamente rifugiati ma migranti spostatisi verso la Libia per ragioni socio-economiche. Non trovando condizioni di vita e lavoro sicure, si vedono costretti a proseguire il loro cammino verso l’Europa. Un cammino pericoloso, irregolare, gestito da trafficanti. Dai loro racconti emerge infatti l’immagine di una Libia nel caos, dove violenze e abusi sono sempre più frequanti e gruppi armati trovano nel traffico di esseri umani una fonte di finanziamento estremamente redditizia.
Nel mondo si stima che circa il 51% delle vittime di tratta siano donne, mentre gli uomini rappresentano il 21% e i minori il 28%. Nel caso in cui le vittime siano donne, lo sfruttamento è sopratutto sessuale (72%), seguito dallo sfruttamento lavorativo (20%) e da altre forme di sfruttamento (8%). Quando le vittime sono uomini lo sfruttamento è sopratutto lavorativo (85,7 %) e sessuale (6,8%) – ( rapporto OIM-2017).
Rivolgendo, da subito, grande attenzione al fenomeno e alla sua evoluzione, anche dal punto di vista della geografia di origine, il VIDES ha fatto propria la causa delle vittime di tratta andando alla genesi del fenomeno, là dove germoglia la spinta all’abbandono del proprio Paese. Siamo partiti dal Corno d’Africa, proprio nella fase di massima provenienza dei flussi migratori (2015/2016), con la campagna “Uomini non schiavi. Stop al traffico degli esseri umani”, per poi estendere l’iniziativa ai nuovi Paesi di maggior flusso in uscita: Mali e Nigeria.
Una riflessione sul fenomeno e sul perché sia quasi esclusivamente africano non avrebbe grosse difficoltà a rintracciare anche sommarie motivazioni: povertà, mancanza di libertà politiche, sociali, limitato o nullo accesso all’istruzione, violenze, guerre … Si potrebbe proseguire all’infinito. C’è però un aspetto poco o per nulla contemplato: in uno scenario in cui a prevalere è la più comunemente nota “guerra tra poveri”, accade che, per facili guadagni, gli schiavi della povertà cerchino di affrancarsi divenendo essi stessi “padroni”, “mercanti”. Mercanti di esseri umani. Poveri contro poveri strumentalizzati dalla manus longa di un potere che ha radici che son rami, non piantate a terra ma che si ergono in alto, molto in alto. Adescare è relativamente semplice: connazionali che “vanno a giro” per villaggi raccontando favole sulla possibilità di conquista di una nuova vita, in altri Paesi (l’Europa) in cui un affrancamento dalla povertà sarà garantito per sé e per i propri figli.
E’ nel contesto della disinformazione, della mancata conoscenza e consapevolezza che si inserisce l’intervento del VIDES, grazie ai fondi della Campagna CEI “Liberi di partire, liberi di restare”, per contribuire a contrastare l’odiosa tratta di esseri umani attraverso azioni di informazione e sensibilizzazione sui concreti e drammatici risvolti del viaggio migratorio verso l’Europa, fornendo ai potenziali migranti informazioni chiare, divulgate attraverso plurali canali mediatici: da quelli tradizionali a quelli web e attraverso rappresentazioni teatrali, queste ultime in grado di suscitare grande coinvolgimento emotivo ed empatia. Tutti in lingua locale per esercitare quanto più potere informativo possibile e promuovere consapevolezza.
Vediamo i primi passi del progetto in Mali:
Dal primo marzo è stato reclutato il personale della Diocesi di Bamako, Mopti e Sikasso che ha iniziato a selezionare e formare il personale per la campagna di sensibilizzazione. Il lavoro dei sensibilizzatori selezionati è stato avviato dal primo giugno 2018.
Sono stati prodotti spot televisivi divulgati a partire dal corrente mese, luglio 2018.
E’ stato acquistato il materiale previsto per le rappresentazioni teatrali e contattata un’animatrice teatrale, un tecnico di ripresa per l’allestimento degli spettacoli nei villaggi: in programma si hanno 5 diversi spettacoli sulla tematica dei rischi dell’immigrazione irregolare da rappresentare in oltre 20 villaggi.
E’ stato creato un sito web dedicato, https://www.videsmalilibrecirculation.org/, in cui si darà visibilità a tutte le attività del progetto, attraverso una accurata documentazione video/fotografica. A questo si affiancheranno una pagina Facebook e un profilo Twitter, canali divulgativi che consentiranno un facile accesso alle informazioni e sopratutto agevoleranno l’interazione diretta tra i promotori del progetto e i beneficiari.