
I volontari e il loro servizio civile, un racconto meraviglioso che abbiamo intrapreso molti anni fa. Oggi, però, qualcosa è cambiato …. Nelle parole, nelle manifestazioni, nei contenuti, emerge con maggiore impulso una profonda maturità emotiva, una sensibilità e una grande passione. Il corona virus, nonostante i tanti demeriti, ha certamente contribuito ad accendere queste preziose emozioni umane.
Le situazioni, soprattutto le più difficili e impreviste, sono uno spunto creativo per reinventarsi, per ripensare il proprio impegno davanti alla nuova realtà, ai nuovi bisogni. Il VIDES ha fatto tesoro della situazione attuale rimodulando i progetti di Servizio Civile, desideriamo così condividere con Voi le testimonianze appassionate dei nostri operatori volontari in tutta Italia.
Iniziamo con Carlotta, volontaria impegnata nel progetto “In Pari – educare alla parità di genere“, nella sede di Via Ginori a Roma
Storie di volontariato al tempo del Covid-19
C’è un tempo del prima Covid-19 e ci sarà un tempo del dopo Covid-19. Il prima sembra che ce lo ricordiamo a malapena, è un tempo sfocato al quale torniamo con la mente con nostalgia. Il dopo, invece, è un punto interrogativo; non sappiamo quando arriverà, probabilmente lo vivremo senza accorgercene. Il prima e il dopo, tuttavia, sono tempi legati indissolubilmente dal presente, dalla trasformazione che stiamo vivendo, da quella che comunemente viene chiamata crisi. Ma che significato ha la parola crisi? Assume, molto spesso, una connotazione negativa, anche se i greci non la intendevano totalmente in questo modo: κρίσις indicava, in origine, la separazione perché deriva dal verbo κρίνω che significa, appunto, separare o, per estensione, scegliere.
Nel tempo del presente, della crisi, io sono una volontaria del Servizio Civile Universale e ho fatto una scelta, la scelta di aiutare con i mezzi e le conoscenze a mia disposizione chi è meno fortunato/a di me. La rimodulazione del mio progetto mi ha fatto scoprire molte cose. Ad esempio, ho scoperto che il mio nome, Carlotta, non è un nome semplice, almeno per Jacob non lo è; preferisce, infatti, chiamarmi Carla, o meglio, Signora Carla forse perché i miei 28 anni in confronto ai suoi 18 sono veramente tanti.
Nel tempo del prima credevo che il mio colore preferito fosse il blu; Amina, invece, mi ha fatto rivalutare l’arancione, come il grande fiocco arancio che ha in testa per raccogliere i suoi capelli nerissimi. Amélie, invece, mi ha detto che non ho il fisico per giocare a rugby come lei ma anche di non preoccuparmi perché il suo sogno è diventare infermiera e ci penserà lei a curarmi semmai dovessi provarci. Loro, insieme a Camille, Edy, Nabil, Karim e Rayan sono venuti in Italia con le loro famiglie come rifugiati e vogliono imparare l’italiano per potersi costruire un futuro, avere delle opportunità. Il nostro progetto, così, è stato rimodulato come corso di italiano come L2, grazie all’aiuto di suor Loredana e suor Maria Jose, e insieme a Viola, Noemi e Agnese stiamo organizzando dei programmi ad hoc per i ragazzi e le ragazze che hanno bisogno e voglia di imparare la nostra lingua.
Il nostro obiettivo è stato, da subito, quello di riuscire a costruire un percorso differenziato per ognuno di loro, poiché hanno un livello diverso di partenza e età diverse. È un progetto sfidante, è molto complicato in un momento del genere entrare in sintonia con l’altro; il contatto umano è del tutto assente e gli strumenti tecnologici a disposizione non sono molti. Non hanno libri o computer, ma solo i loro cellulari e per questo motivo le lezioni consisteranno in videochiamate su Whatsapp. Nello specifico, partendo dagli studi di linguistica acquisizionale, abbiamo cercato di capire quale livello di competenza possedessero e quale potesse essere il cosiddetto livello soglia a cui aspirare.
Abbiamo raccolto manuali, dispense ed eserciziari e diviso il lavoro in obiettivi da raggiungere, cercando una strategia basata sulla cooperazione. In un momento in cui le disuguaglianze sono sempre maggiori, dove la scuola è messa in secondo piano, noi vogliamo diventare per loro non solo maestre da cui imparare, ma sorelle con cui confidarsi e amiche a cui potranno sorreggersi. La nostra lingua è per loro lo strumento con cui riusciranno a creare delle relazioni, trovare un lavoro, vivere la loro vita qui.
Questo è il tempo del distanziamento sociale, ma non per questo non possiamo avvicinarci, provando a ridurre il divario che da sempre divide chi può e chi non può, di chi ha più diritti di altri, di chi ha sempre conosciuto solo la crisi e mai l’opportunità che ne deriva. Con questo progetto speriamo che non ci sarà più un noi e un loro, ma resterà un’esperienza vissuta insieme, un racconto comune; sarà la nostra scelta, quella che ci ricorderemo nel tempo del dopo il Covid-19.
Carlotta Pennelli